Cessione del credito
Factoring e invoice trading: perché per le PMI non sono “solo” strumenti finanziari
I numeri in crescita del factoring testimoniano il forte ruolo sociale rivestito dal settore per assicurare la continuità aziendale e la tenuta del sistema economico fondato sulle PMI, in maniera complementare con i servizi emergenti di finanza alternativa.

Il 14% del Pil italiano: tanto vale il settore factoring nel nostro Paese, in crescita anno su anno secondo i numeri condivisi da Assifact, associazione di categoria degli operatori del settore.
Nei primi cinque mesi del 2024 il volume d'affari complessivo del factoring in Italia ha raggiunto infatti i 113,11 miliardi di euro, in crescita del 2,46% anno su anno e non troppo distante dal tasso medio di crescita del 3,58% previsto a fine 2024.
Crescono, in parallelo, le operazioni di supply chain finance, a quota 11,45 miliardi di euro a fine maggio 2024 (+ 4,02%), in uno scenario complessivo che vede un calo del 3,8% del credito erogato alle imprese dal 2022 al 2023 a fronte di un sostanziale mantenimento de volumi da parte del factoring, il quale si conferma essenziale per contribuire alla tenuta finanziaria e alla continuità di oltre 32 mila imprese clienti (di cui il 63% PMI).
Oltre ai numeri, infatti, emerge come la diffusa abitudine di tardare i pagamenti - soprattutto da parte delle corporate e capofiliera nei confronti delle PMI – confermata di recente anche dall'ultimo studio Cribis, abbia come effetto quello di rallentare tanto la crescita economica quanto di danneggiare le relazioni di fiducia tra le aziende stesse.
In questo senso, strumenti come il factoring e l'invoice trading rivestono un ruolo che non è mai stato puramente "finanziario", ma anche sociale e di fondamentale contrappeso alla tenuta del "sistema Italia": offrire alle PMI un'alternativa rispetto al credito tradizionale per accedere rapidamente alla liquidità necessaria, soprattutto in tempi di forte crisi, rialzo dei tassi di interesse e rallentamento economico, consente di attutire gli effetti più deleteri dei ritardi nei pagamenti e di comportamenti e abitudini così difficili da sradicare.
Vale la pena concludere con la dichiarazione rilasciata da Angelo Camilli, vice presidente di Confindustria per il Credito, la Finanza e il Fisco, al Sole 24 Ore, in occasione della presentazione dei numeri di Assifact: «I ritardi di pagamento rappresentano un nodo alla crescita. È necessario introdurre una cultura dei pagamenti rapidi, innanzitutto nei rapporti tra la Pa e le imprese, ma anche tra imprese, per scoraggiare il rischio di comportamenti finalizzati ad allungare i termini di pagamento o ritardare l’invio della fattura»