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Per alcuni può essere l’ultima chiamata, per altri solo uno dei tanti avvisi di cui tenere conto lungo la strada della ripartenza: la fine (annunciata) delle moratorie sui finanziamenti concessi dalle banche alle imprese è arrivata – il 31 dicembre – in un periodo caratterizzato dalla crescita dei costi energetici, impossibili da scaricare nel breve termine sul prezzo al cliente finale, e un aumento delle difficoltà di accesso al credito bancario che rendono problematica la gestione del debito e della cassa di molte PMI.

36 miliardi di euro di prestiti tutelati dalle moratorie al 31 dicembre scorso

Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, infatti, al 31 dicembre 2021 sarebbero terminate le sospensioni di prestiti bancari per un valore totale di 36 miliardi di euro, di cui 32 miliardi garantiti in base alle previsioni del decreto Cura Italia del 2020 a fronte di oltre 400 mila richieste: ignoto, tuttavia, è il numero delle imprese in grado di ricominciare a rimborsare le rate a partire dalla fine di questo mese.

180 mila euro il debito residuo delle imprese in moratoria a settembre

Le esigenze di liquidità per molte PMI potrebbero quindi ripresentarsi nel breve, anche senza rappresentare un problema drammatico: secondo gli analisti di CRIBIS a fine settembre 2021, i contratti di credito alle imprese sotto moratoria erano l’8,7% del totale rispetto al picco del 24,1% raggiunto nell’ottobre 2020. In media, le società di capitali che hanno richiesto le moratorie presentavano fino a pochi mesi fa un debito residuo di circa 180 mila euro complessivi, per un importo medio di 2.700 euro.

Nel breve periodo sono da prevedersi soluzioni miste per uscire dalla crisi

Se il rinnovo delle moratorie è stato fin qui chiesto a più voci da parte di associazioni d’impresa, sindacati dei bancari, partiti politici e Associazione Bancaria Italiana, come nota tra gli altri il Corriere, è plausibile che si arriverà nel breve-medio periodo a soluzioni miste volte a incoraggiare le imprese virtuose e che hanno le risorse per accedere alla liquidità a uscire dal regime di moratoria saldando i propri debiti, sostenendo invece con garanzie pubbliche l’uscita graduale delle aziende più compromesse.

Private equity e reverse factoring per supportare aggregazioni e crescita delle aziende

Degna di nota, in questo senso, è l’opinione di Nino Lombardo – senior partner dello studio DLA Piper – intervistato da Repubblica Economia: in un contesto così incerto, è probabile che anche le PMI più virtuose andranno incontro a processi di aggregazione verticali e orizzontali, che potranno essere sostenuti dall’apporto di capitali privati provenienti dal private equity per far fronte all’impennata generale dei costi di noli e materie prime. Nel breve periodo, inoltre, si diffonderà l’interesse verso strumenti di credito virtuosi quali il ‘reverse factoring’ dai privati”, per sostenere la crescita delle imprese e dei loro fornitori.

Strumenti diversi per esigenze diverse, per sopperire alla mancanza di garanzie a cui appoggiarsi

Il reverse factoring, nello specifico, è un servizio che consente alle aziende di supportare i propri fornitori nell’accesso alla liquidità tramite la cessione pro soluto dei crediti commerciali verso investitori istituzionali: disponibile anche su CashMe tramite CashMe Digital Reverse, non prevede segnalazioni in centrale rischi e può essere attivato nell’arco di pochi giorni lavorativi. Tanto più utile e funzionale, quindi, se utilizzato per affrontare un periodo post-pandemico dove molti strumenti di sostegno sono giunti al naturale esaurimento, mentre quelli di prima non sembrano in grado di rispondere con la dovuta flessibilità alle mutate difficoltà economiche e ai tempi di risposta immediati chiesti da uno scenario globale in rapida evoluzione.

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