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Le imprese familiari tra liquidità e passaggio di testimone
Secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio AUB le imprese familiari con più di 20 milioni di euro di fatturato sono chiamate oggi ad affrontare due importanti sfide, sul fronte finanziario e manageriale.
Febbraio 3, 2021
La buona notizia è che molte imprese familiari italiane si sono ritrovate ad affrontare la crisi economica attuale in una situazione migliore rispetto a quella del 2008-2009: a confermarlo è il XII rapporto dell’Osservatorio AUB sulle imprese familiari con più di 20 milioni di euro di fatturato, promosso da AIDAF, Bocconi, Unicredit e Cordusio e realizzato grazie al supporto di Borsa Italiana, Fondazione Angelini e Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi. La cattiva notizia è che circa un terzo del totale delle aziende è partita, tuttavia, da una situazione fortemente svantaggiata rispetto alle altre.
Un terzo delle imprese familiari italiane presenta indicatori di solidità critici
I numeri, innanzitutto: secondo l’Osservatorio AUB sono oggi oltre 17 mila le aziende italiane con più di 20 milioni di fatturato, di cui 11.808 a controllo familiare (65% del totale circa). Di queste, 6.721 hanno un fatturato compreso tra i 20 e i 50 milioni, mentre le aziende familiari con più di 50 milioni di euro di fatturato sono aumentate del 16% negli ultimi dodici anni, passando da 4.251 a 5.086 unità.
Se rispetto al 2009 la percentuale di aziende con una struttura patrimoniale o reddituale compromessa è calata dal 4,3% al 3,4% del totale, e le aziende con liquidità superiore all’indebitamento sono passate dal 17,7% al 29,5% delle imprese familiari, all’inizio del 2020 circa un terzo del totale delle aziende familiari prese in esame presentava ancora indicatori di solidità critici o in stato di allerta.
Se la crisi del 2008-2009 ha portato il 17,5% delle aziende familiari italiane verso procedure liquidatorie e concorsuali nell’arco del successivo decennio, a parità di proporzioni la crisi attuale potrebbe portare tra il 13,5% e il 25% del totale delle imprese verso la liquidazione da qui al 2030, qualora la fase di ripresa economica dovesse rivelarsi meno performante rispetto a quella appena trascorsa.
Dall’indebitamento all’equity, con un occhio di riguardo alla governance
La soluzione, tuttavia, non si trova nel ricorso all’indebitamento: secondo un’analisi del Fondo Strategico Italiano, inclusa nel XXI rapporto dell’Osservatorio AUB, il maggior uso di capitale di debito rispetto all’equity e ad altre forme di finanziamento alternative ha come effetto quello di frenare la crescita e la redditività nel medio periodo (5 anni), tanto più è elevato l’indebitamento di partenza.
In questo contesto, il futuro delle imprese familiari italiane di medie dimensioni si gioca sempre più su una gestione attenta della liquidità attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari alternativi all’indebitamento bancario, e sull’apertura del capitale ad altri soci privati: una decisione che quasi sempre va di pari passo con una gestione aziendale più aperta e trasparente, superando la tendenza di rimandare il momento del passaggio di testimone ben oltre l’ingresso del fondatore nella terza età.
Non a caso, infatti, il rapporto si sofferma sull’età particolarmente avanzata degli imprenditori in carica: un terzo delle aziende è guidata da leader ultra-settantenni, rispetto al 23% della Francia e al 7% della Germania. In un contesto economico incerto, tuttavia, la mancanza di figure – interne ed esterne alla famiglia stessa – in grado di “prendere il timone” dell’azienda in caso di temporanea o permanente impossibilità del fondatore potrebbe costituire un serio ostacolo alla sopravvivenza dell’impresa stessa. In questo senso, è possibile affermare il futuro di molte aziende potrebbe dipendere dalle scelte finanziarie e manageriali che verranno prese in questi giorni di incertezza, con effetti che si faranno sentire ben oltre il prossimo decennio.
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