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PMI e sostenibilità: quegli ostacoli invisibili da rimuovere


Più che la mancanza di risorse, sembra essere la convinzione di non avere tempo da dedicare alla sostenibilità: eppure, cominciare da subito un percorso virtuoso consentirebbe alle PMI di ridurre la pressione regolatoria, commerciale e finanziaria cui con ogni probabilità andranno incontro da qui ai prossimi anni. Una riflessione sugli ultimi dati disponibili.

Gennaio 25, 2023

Quattro imprese su dieci: questa è la percentuale del campione di piccole e medie aziende italiane che, nel corso del 2022, hanno avviato un percorso di transizione sostenibile secondo gli ultimi dati del Kaleidos Impact Watch. Entro il 2024, secondo la medesima fonte, oltre la metà delle PMI avrà effettuato almeno un investimento in sostenibilità ambientale (dalla transizione verso energie pulite e rinnovabili alla riduzione o riutilizzo di rifiuti e scarti di lavorazione). Oltre il 95% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver già ottenuto benefici da questo processo.

A fronte di dati così evidenti, tuttavia, rimane l'incognita che grava sul futuro di tutte le altre imprese: in un Paese come il nostro caratterizzato da un tessuto imprenditoriale di dimensioni aziendali relativamente contenute, non sono pochi i motivi che possono frenare un imprenditore e il suo team rispetto alla scelta di intraprendere un percorso virtuoso, che tuttavia richiede un certo investimento iniziale per essere avviato, soprattutto dopo che quest'ultimo è stato rimandato per anni.

Come affermato da Emanuela De Sabato, presidente e fondatore di Futura Law Firm e valutatrice d’impatto in un lungo e interessante post su LinkedIn, a volte non sono sufficienti tutti i discorsi e i numeri sulla sostenibilità per far compiere quel passo in più alle aziende di dimensioni più contenute. "Di fronte alle iniziative e alle svolte dei giganti - afferma l'autrice del post - non so come una piccola impresa possa identificarsi e sentire di avere gli strumenti adeguati". Il problema, secondo l'esperta, non sarebbe tanto la mancanza di risorse economiche quanto la convinzione di non avere né il tempo, né le risorse umane sufficienti da dedicare al cambio di rotta.

A convincere molti imprenditori, secondo noi, non sarà tuttavia solo la tendenza a imitare i comportamenti dei propri simili, né massicce campagne di sensibilizzazione, quanto la consapevolezza che le pressioni che subiranno da qui ai prossimi anni per intraprendere un percorso sostenibile saranno tante e tali da farli rimpiangere di non averlo fatto prima: se la regolamentazione fino ad oggi è stata benevola nei confronti delle aziende di dimensioni minori non è detto che sarà lo stesso anche in futuro, i clienti si aspetteranno iniziative e azioni concrete di sostenibilità e le aziende capofiliera utilizzeranno tutto il proprio soft power per convincere le aziende fornitrici ad adeguarsi a standard qualitativi e sostenibili sempre più alti. Infine, il mondo del credito darà la "spinta" decisiva.

Come ricordato da Marco Preti, CEO di Cribis, in un articolo per Econopoly, le modalità di gestione del rischio del credito stanno rapidamente cambiando: "oggi è imprescindibile considerare i rischi ESG delle imprese, non solo nel breve ma anche a medio e lungo termine. Ormai è acclarato che questi elementi impatteranno in modo determinante sulla redditività delle imprese e quindi sulla loro capacità di rimborsare il debito", scrive l'esperto, che ricorda anche come la rischiosità creditizia di un'impresa a forte vocazione sostenibile risulti inferiore del 50% rispetto alla media. Un numero che influenzerà nei prossimi anni in maniera decisiva le decisioni delle banche in merito alla concessione o meno dei crediti richiesti dagli imprenditori. In questo senso, il mondo bancario svolgerà con ogni probabilità un ruolo decisivo nel sensibilizzare gli imprenditori, anche i più reticenti, a compiere un passo di importanza fondamentale sia per la propria azienda, sia per il futuro dell'ambiente e della società in cui vivono.