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Dai corporate bond all’invoice trading: imprese in cerca di liquidità
Emissioni record di obbligazioni da parte delle imprese americane ed europee: per le PMI, tuttavia, la raccolta di liquidità prudenziale in un contesto economico incerto passa necessariamente attraverso altri strumenti, non solo bancari.
Agosto 18, 2020
Oltre 1.000 miliardi di dollari negli Stati Uniti, oltre 450 miliardi di dollari nel Vecchio Continente: è record per i volumi delle emissioni obbligazionarie da parte delle aziende non finanziarie, che hanno toccato un nuovo massimo storico nei primi mesi dell’anno. I dati, elaborati da Dealogic per il Sole 24 Ore, fotografano una “corsa alla liquidità” senza precedenti sulle due sponde dell’Atlantico che consente oggi ai più autorevoli commentatori di parlare di un vero e proprio “stato di grazia” nel mercato dei corporate bond.
Mille miliardi di dollari in emissioni obbligazionarie raccolti dalle imprese statunitensi
Per farsi un’idea più precisa, basti pensare che la raccolta delle imprese statunitensi sul mercato delle emissioni obbligazionarie ha quasi raddoppiato il precedente “record” stabilito nel 2015. In questo contesto, un’azienda come Alphabet (la holding di Google) ha potuto emettere nel solo mese di agosto obbligazioni per oltre 10 miliardi di dollari, con una cedola dell’1,1% sulle scadenze decennali.
La liquidità raccolta dalle aziende statunitensi ed europee consente a queste ultime di saldare i conti con i bond in scadenza da oggi fino al 2022: una raccolta prudenziale in vista di uno scenario macroeconomico per lo più incerto, dal momento che la stessa Alphabet ha registrato quest’anno entrate pubblicitarie dall’advertising online in calo per due trimestri consecutivi.
Le PMI di nuovo nella “trappola della liquidità”?
I volumi record di obbligazioni nascondono, tuttavia, un’amara verità: oggi il mercato è sempre più polarizzato tra imprese grandi e ricche di liquidità, e piccole e medie imprese che mancano del “cash” sufficiente ad arrivare alla fine di un anno che per molti si sta rivelando sempre più drammatico (il 50% del totale delle imprese potrebbe avere difficoltà a saldare i propri debiti da qui a dicembre, secondo un report della Banca Internazionale dei Regolamenti citato dallo stesso Sole 24 Ore).
La riduzione della produttività imposta dal lockdown si è aggiunta a un problema ormai endemico nello scenario economico occidentale: secondo una ricerca condotta da Harvard Business Review, infatti, negli ultimi tredici anni le grandi imprese avrebbero “sistematicamente allungato i tempi di pagamento” verso i fornitori, spesso impossibilitati a rivedere i termini degli accordi in linea con le proprie esigenze finanziarie
Smobilizzare liquidità dai crediti commerciali con l’invoice trading
Da qui, nasce l’esigenza di trovare canali di finanziamento alternativi, soprattutto in un Paese come il nostro dove i minibond sono rimasti uno strumento tutto sommato marginale e perfino i prestiti garantiti dallo Stato – con l’approvazione del Decreto Liquidità - non hanno superato il milione totale di domande a partire dal 17 marzo, a fronte di una platea di potenziali beneficiari che secondo la CGIA di Mestre supererebbe abbondantemente quota cinque milioni.
È in questo contesto che le PMI italiane e degli altri Paesi europei hanno scoperto negli ultimi mesi l’esistenza di canali di finanziamento alternativi rispetto a quelli abituali: tra questi l’invoice trading, in continua crescita anno su anno, che consente di smobilizzare i propri crediti commerciali attraverso la cessione di questi ultimi a investitori istituzionali. Numeri che di per sé non fanno (ancora) “notizia”, ma che rappresentano oggi uno strumento di diversificazione e contrattazione importante per quegli imprenditori che non hanno nessuna intenzione di arrendersi, neppure di fronte a circostanze tanto avverse.
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