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Fintech e banche: brevissima storia dell’innovazione finanziaria
In pochi anni le nuove tecnologie sviluppate da un numero sempre crescente di startup hanno dato il via a un cambiamento radicale del mercato finanziario e hanno messo gli istituti bancari davanti alla necessità di un profondo rinnovamento.
Se è solo negli ultimi anni che sempre più spesso si sente parlare di “fintech”, l’innovazione tecnologica in ambito finanziario ha in realtà una storia lunga più mezzo secolo.
Come ricorda Roberto Ferrari, General Manager di CheBanca! nel bel libro “L’era del fintech” edito da Franco Angeli, il sistema bancario mondiale è stato uno degli early adopter dei sistemi elettronici, salvo poi entrare in una fase di stallo protratta anche in piena digital era.
L’innovazione in ambito bancario può essere fatta risalire alla prima metà degli anni Cinquanta, quando negli Stati Uniti venne creata la carta di credito, che nei decenni successivi si diffuse come circolazione ed utilizzo in America ed Europa. Bisogna aspettare il 1967 e spostarsi dall’altra parte dell’oceano per assistere all’arrivo di un altro caposaldo tecnologico dei servizi finanziari: nella Swinging London viene infatti installato il primo ATM (o bancomat per noi italiani), dispositivo che appena cinque anni dopo verrà collegato elettronicamente a un circuito interconnesso.
La palla torna in campo americano nel 1971, col decennio inaugurato dalla creazione del NASDAQ, l'indice dei principali titoli tecnologici della borsa americana, che dà una spinta propulsiva allo sviluppo del trading elettronico, facilitato poi notevolmente dal lancio del primo personal computer Apple nel 1977. Gli anni ’80 proseguono nel segno dei primi, rudimentali servizi di home banking, tramite videotext, lanciati nel 1981 da tre banche americane (all’epoca l’internet che conosciamo oggi, ricordiamo, non esisteva ancora).
Nel 1986 avviene inoltre un cambiamento rivoluzionario a livello normativo con la radicale deregulation finanziaria voluta dal governo neoliberista inglese di Margaret Tatcher, passata alla storia come “Il Big Bang”. Sebbene molti aspetti siano stati modificati o cancellati dopo la recente crisi finanziaria, essendo stati messi sul banco degli imputati come principali responsabili del tracollo, il processo di sviluppo tecnologico e in particolare digitale favorito dal “Big Bang” ha proseguito il suo corso.
Proseguendo nell’ultimo decennio del XX secolo, con l’avvento del protocollo http e del world wide web, vediamo la diffusione dei servizi bancari online, che continuano la loro espansione nella prima decade del nuovo millennio accompagnati dall’esplosione dell’e-commerce.
Ma il fintech come lo conosciamo e intendiamo oggi, pur muovendo i primi passi all’alba del nuovo millennio, ha origine da un avvenimento epocale che ha permesso alle startup di farsi strada erodendo quote di mercato alle banche tradizionali: la crisi finanziaria del 2008.
Il tracollo dei mercati innescato dalla crisi dei mutui subprime americani ha innanzitutto determinato alcuni mutamenti nella normativa e nella percezione legata agli istituti finanziari che ha favorito e accelerato la diffusione della finanza alternativa e digitale.
Un primo cambiamento è toccato al modello di banca universale, con diversi paesi di primo piano dello scenario internazionale che hanno portato avanti riforme per scindere le tradizionali attività relative alla raccolta del risparmio ed al credito dagli investimenti finanziari, a partire dagli Stati Uniti col Dodd–Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act del 2010.
L’altra conseguenza è stato il crollo della fiducia nei consumatori verso gli istituti bancari, non da ultimo per la sequela di scandali legati a speculazioni e sperpero di denaro. Secondo un Sondaggio Demos, riportato da La Repubblica lo scorso dicembre, in Italia appena il 16% dei consumatori nutre ancora fiducia nelle banche.
In questo quadro globale, il fintech ha trovato terreno fertile per crescere: gli ultimi dati, relativi al primo trimestre 2016, parlano di un aumento del 67% dei capitali investiti a livello globale, per un controvalore di 5,3 miliardi di dollari.